sabato 26 settembre 2015


     Don Dokken “Up from the Ashes” (1990 Geffen )
Dopo lo scioglimento dei Dokken,la band che più di tutte ha definito quel sound dal nostro Beppe Riva così ben denominato come“Class-Metal”,ma che potremmo anche chiamare semplicemente Melodic Metal di fattura superiore & sopraffina,Don Dokken diede vita alla sua creatura solista tornando per certi versi al concept originario dei Dokken che in realtà erano inizialmente un suo progetto solista.                                   
E lo fece alla grande mettendo su un supergruppo multi-etnico
(nell’epoca in cui non esisteva Internet e in cui se volevi suonare con qualcuno dall’altra parte dell’Oceano dovevi solo prendere l’aereo e volare da lui)con John Norum(Europe e solista)& Billy White alle chitarre, Mikkey Dee(King Diamond e futuro Motorhead)alla batteria e Peter Baltes(Accept) al basso,coadiuvato da vari songwriters nel lavoro di composizione(come il produttore Wyn Davis e il suo ex-batterista Mick Brown o il suo amico Glenn HughesIl risultato non poteva che essere vincente dal punto di vista della qualità artistica,ma purtroppo,a parte in Giappone e negli States,l’album non ebbe il successo sperato e una futura reunion tardiva dei Dokken era alla porte(con il bello ma controverso "Dysfuctional").Sarà stato anche l’anno poco propizio per il Metal raffinato ben prodotto e ben suonato,poiché il Grunge era la”new thing”con i suoi tre accordi stonati e il suo suono approssimativo(che qualcuno chiama”attitudine”,ma in realtà è mediocrità pura e semplice), fatto sta che chi come il sottoscritto e le menti e i cuori “liberi e illuminati”se ne frega dei trends e delle leggi di mercato,ha potuto godere appieno di quest’album sprizzante energia,romanticismo e melodia in egual misura con un tocco epico e notturno in alcuni frangenti degno dei Dokken migliori.Si parte con “Crash’n’Burn”,song epica e fieramente metallica con testi impegnati e sociali ma anche autobiografici,un inno alla rinascita di Don Dokken dato per perso senza la sua band madre.”1000 Miles Away”ha un’intro pianistica e effettata nelle vocals molto onirica e romantica e attacca con un gran riff creato da Norum,molto stile “Wings of Tomorrow”,l’album più epico della sua band “europea”:un gran coro epicissimo nel ritornello la rende uno dei rari esempi di Epic/Class-Metal vicino ai grandissimi Fifth Angel.La seguente”When Some Night”è anch’essa vicina agli Europe ma inequivocabilmente Dokken nel risultato finale grazie a riffs e melodie tanto semplici quanto perfettamente incastonate tra di loro.Sembra che nel lato”A”le songs facciano a gara a superarsi l’un l’altra e la successiva ”Forever”è un altro masterpiece,bilanciata alla grande tra parti soft/arpeggiate e altri hard/riffose e melodicamente potenti e evocative, con i soliti testi romantici e sognanti del buon Don.Anche la successiva”Living a Lie”,è un altro piccolo capolavoro di melodia e potenza e risulta determinante l’apporto sanguigno e sentimentale di un Norum perfettamente a suo agio con il sound Dokkeniano(tanto che poi sarà assunto anche per un album non troppo riuscito dei Dokken, l’altalenante”Long Way Home")e con l’ugola acuta ma anche calda del singer americano.Chiude il primo tempo quella che è la ballad perfetta che tutti vorrebbero scrivere,ma che in pochi riescono a creare non cadendo nel trito e ritrito,ossia “When Love Finds a Fool”,scritta a quattro mani con il soul-man Glenn Hughes”The Voice of Rock”,un brano d’antologia che può dare speranza o almeno fungere da balsamo ai tanti “cuori infranti e solitari”che popolano l’audience metallica e non,brano degno della mitica “Alone Again”e con un assolo che dire pieno di feeling del signor Norum è dire poco.
Il lato”B”risulta meno riuscito a dire il vero,con un paio di song interlocutorie e non memorabile come le Pop-Metal”Give it Up”&”Mirror Mirror”(singolo/videoclip che da poco giustizia ad un album altrimenti favoloso),brani che sembrano più b-sides che altro.Al di là di questi episodi più deboli,però ve ne sono altri notevolissimi come la ritmata “Stay”co-scritta con il suo ex-band mate Mick Brown,che ha melodie vincenti e malinconiche al punto giusto e la metallica”Down in Flames”e soprattutto la splendidamente heavy”The Hunger”,brano notturno e immaginifico,quasi Horror e memore della mitica”Dream Warriors"(dal terzo capitolo con lo stesso sottotitolo dell’altrettanto mitica saga di”Nightmare on Elm Street”)che ospita alla batteria il tellurico e ex-Fifth Angel & House of Lords Ken Mary,qui capace di una performance degna del miglior Cozy Powell.                                                                      
In definitiva un album splendido con qualche brano non allo stesso livello degli altri ma ad ogni modo ben inserito nel contesto per variare la proposta e un manifesto anti-grunge e tra i migliori capitoli scritti(includendo tutta la lunga discografia della sua band madre)dal grande cantante & compositore americano.
                                                                        Antonio Giorgio
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