sabato 26 settembre 2015

Royal Hunt “Paradox” (1997-Semaphore/99th Floor)

Andrè Andersen è un tastierista/compositore/produttore di origine russa emigrato in Danimarca per coronare i suoi sogni di gloria nel campo musicale e a quanto pare è riuscito in pieno nel suo intento pur pagando un calo in termini di popolarità rispetto all’epoca d’oro della band:la seconda metà degli anni novanta a cominciare dall’ottimo concept “Moving Target”,il giusto preludio alla magniloquenza di questo mistico e suggestivo “Paradox”,altro concept basato su un paradosso affascinante,
ossia che il protagonista, novello Gesù Cristo dei nostri giorni com’è predetto dalle scritture del Nuovo Testamento a proposito del secondo avvento del Messia sul Pianeta Terra,trovi paradossale che nonostante siano passati 2000 anni l’uomo è in sostanza ancora lo stesso e a nulla è servito il suo sforzo immane pagato con la crocifissione e la morte per cambiarlo e redimerlo.Certo non affrontano temi leggerini i danesi/americani/russi Royal Hunt, cosa poi confermata nel corso degli anni con vari altri concepts socio/introspettivi o anche fantascientifici (l’ottimo”The Mission”,il primo di una lunga serie per la nostrana Frontiers Records,basato sulle “Cronache Marziane”di Ray Bradbury),tra cui anche una seconda parte di”Paradox”(“Collision Course”)non allo stesso livello della prima se pur di buon livello con l’ex-Malmsteen Mark Boals,singer a tratti inespressivo ma che Andersen è riuscito a far esprimere ai suoi migliori livelli.Si parte con”Awakening”, breve intro acustica che presenta il Leit-Motiv dell’album che ritornerà nella ballata drammatica”Long Way Home”,che funge da apripista etnico al mistico concept(facile immaginare questo neo-Gesù giungere nel mondo moderno attraverso un deserto onirico di qualche altra dimensione,come uno spirito che sta per reincarnarsi in un uomo qualsiasi)e introduce la epica e drammaticamente colma di pathos struggente e verace”River of Pain”, aperta da un riff di chitarra e tastiera alla Deep Purple in versione neo-classica e pomposa e seguito da arpeggi stile Queensryche con vocals di DC Cooper per una volta tanto più calde e avvolgenti (singer straordinario dalla classe immensa,ma contraddistinto da una certa freddezza esecutiva di fondo.A tal proposito bisogna ricordare il passo in avanti fatto dalla band nell’era West,in particolare con il bellissimo”Fear”, album che è allo stesso livello di”Paradox”),brano che diventa sempre più drammatico e corale(bravissimi i coristi dei Royal Hunt,capaci di rendere unico il loro sound)con dei crescendo da brivido e dinamicissimi, sapientemente orchestrati da Mister Andersen e che saranno nel corso dell’album una delle armi vincenti e caratteristiche(mai più replicati con successo negli altri albums,a parte “Fear”)del sound Royal Hunt.
La successiva“Tearing Down the World”è un altro must,i tempi si velocizzano e il neo-classicismo mai pesante e noioso di Andersen e soci viene fuori in tutto il suo splendore in una song dalla bellezza marmorea.
Si continua con la hit più famosa e riuscita della band,brano simbolo della stessa e del loro stile baciata da un magnifico video-clip in stile”Best I Can”dei Queensryche:sto parlando dell’invocazione d’aiuto del neo-Gesù al suo Padre Celeste,ossia”Message to God”,che nella long version è ancora più bella e completa rispetto alla radio/video-edit con stacchi progressivi,intro pianistica da brividi e crescendo finale impressionante con uno scatenato Jacob Kjaer, di sicuro il miglior guitar player che Andersen abbia avuto al suo fianco,grazie ad un feeling unico degno di un John Sykes con tanto di tecnica sopraffina.E’ la volta della citata ballatona”Long Way Home”,molto distante dalle classiche love-ballads stile eightes,anzi degna di un”Another Day”dei mostruosi Dream Theater.
Il tempo di rifiatare ed ecco esplodere la song più lunga e articolata, anch’essa con super-crescendo e strutture al limite del Prog-Metal ma tuttavia fluidissime e lineari,la notturna “Time Will Tell”,song con un Cooper maestoso e capace di coprire varie ottave con le sue tonalità baritonali tanto basse quanto alte grazie ad un falsetto sostenutissimo e pieno alla Halford(da ricordare il provino quasi andato in porto di Cooper per i Judas Priest pre-Jugulator),se non che fosse ancora più sopraffino e tecnicamente superiore. La song ricorda i Queensryche misteriosi e alla “Blade Runner”di”Rage for Order”e anche alcune atmosfere alla Mindcrime sono parte di essa(in effetti il concept ha la stessa qualità drammatica, cinematica  e mistica,pur non avendo alcuna implicazione politica e sociale che l’Opera Magna dei ‘ryche ha).Brano capolavoro dell’album con”River of Pain”.E’ la volta di”Silent Scream”,altra song bellissima con melodie neo-classiche vincenti e quasi AOR e tempi serrati alla Malmsteen e si chiude con la lenta e trionfale “It’s Over”, dove il nostro Messia muore nuovamente ucciso dalla cupidigia e ignoranza umana e ritorna dal suo Padre Celeste,chiudendo un album non eccessivamente lungo(come quasi ogni album di Andersen,amante della sinteticità invece della prolissità di molte bands prog e sinfoniche come i Theater o i Nightwish)ma perfetto in ogni sua parte e capace di segnare a fuoco un’epoca e influenzare miriadi di nuove bands dall’attitudine sinfonica,neo-classica e progressiva(pensiamo ai nostrani Stamina, band quasi clone con in più peculiari influenze fusion,tra l’altro nello stesso management dei Royal Hunt).Il Paradosso del titolo indica anche come forse il Vero Dio è dentro di noi non altrove.
                                                                               Antonio Giorgio

Altri Ascolti: “Moving Target”/”Fear”/”The Mission”/”Paper Blood”/ ”Paradox II:Collision Course”/”X”/”Show me How to Live”/
”A Life to Die For”/”Devil’s Dozen”       



                          

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