Royal Hunt “Paradox” (1997-Semaphore/99th
Floor)
Andrè
Andersen è un tastierista/compositore/produttore di origine russa emigrato in
Danimarca per coronare i suoi sogni di gloria nel campo musicale e a quanto
pare è riuscito in pieno nel suo intento pur pagando un calo in termini di
popolarità rispetto all’epoca d’oro della band:la seconda metà degli anni
novanta a cominciare dall’ottimo concept “Moving Target”,il giusto preludio alla
magniloquenza di questo mistico e suggestivo “Paradox”,altro concept basato su
un paradosso affascinante,
ossia che il protagonista, novello Gesù Cristo dei
nostri giorni com’è predetto dalle scritture del Nuovo Testamento a proposito
del secondo avvento del Messia sul Pianeta Terra,trovi paradossale che
nonostante siano passati 2000 anni l’uomo è in sostanza ancora lo stesso e a
nulla è servito il suo sforzo immane pagato con la crocifissione e la morte per
cambiarlo e redimerlo.Certo non affrontano temi leggerini i
danesi/americani/russi Royal Hunt, cosa poi confermata nel corso degli anni con
vari altri concepts socio/introspettivi o anche fantascientifici (l’ottimo”The Mission”,il
primo di una lunga serie per la nostrana Frontiers Records,basato sulle
“Cronache Marziane”di Ray Bradbury),tra cui anche una seconda parte
di”Paradox”(“Collision Course”)non allo stesso livello della prima se pur di
buon livello con l’ex-Malmsteen Mark Boals,singer a tratti inespressivo ma che
Andersen è riuscito a far esprimere ai suoi migliori livelli.Si parte
con”Awakening”, breve intro acustica che presenta il Leit-Motiv dell’album che
ritornerà nella ballata drammatica”Long Way Home”,che funge da apripista etnico
al mistico concept(facile immaginare questo neo-Gesù giungere nel mondo moderno
attraverso un deserto onirico di qualche altra dimensione,come uno spirito che
sta per reincarnarsi in un uomo qualsiasi)e introduce la epica e
drammaticamente colma di pathos struggente e verace”River of Pain”, aperta da un
riff di chitarra e tastiera alla Deep Purple in versione neo-classica e pomposa
e seguito da arpeggi stile Queensryche con vocals di DC Cooper per una volta
tanto più calde e avvolgenti (singer straordinario dalla classe immensa,ma
contraddistinto da una certa freddezza esecutiva di fondo.A tal proposito
bisogna ricordare il passo in avanti fatto dalla band nell’era West,in
particolare con il bellissimo”Fear”, album che è allo stesso livello
di”Paradox”),brano che diventa sempre più drammatico e corale(bravissimi i
coristi dei Royal Hunt,capaci di rendere unico il loro sound)con dei crescendo
da brivido e dinamicissimi, sapientemente orchestrati da Mister Andersen e che
saranno nel corso dell’album una delle armi vincenti e caratteristiche(mai più
replicati con successo negli altri albums,a parte “Fear”)del sound Royal Hunt.
La
successiva“Tearing Down the World”è un altro must,i tempi si velocizzano e il
neo-classicismo mai pesante e noioso di Andersen e soci viene fuori in tutto il
suo splendore in una song dalla bellezza marmorea.
Si continua con la hit più
famosa e riuscita della band,brano simbolo della stessa e del loro stile
baciata da un magnifico video-clip in stile”Best I Can”dei Queensryche:sto
parlando dell’invocazione d’aiuto del neo-Gesù al suo Padre Celeste,ossia”Message
to God”,che nella long version è ancora più bella e completa rispetto alla
radio/video-edit con stacchi progressivi,intro pianistica da brividi e
crescendo finale impressionante con uno scatenato Jacob Kjaer, di sicuro il
miglior guitar player che Andersen abbia avuto al suo fianco,grazie ad un
feeling unico degno di un John Sykes con tanto di tecnica sopraffina.E’ la
volta della citata ballatona”Long Way Home”,molto distante dalle classiche
love-ballads stile eightes,anzi degna di un”Another Day”dei mostruosi Dream
Theater.
Il tempo di rifiatare ed ecco esplodere la song più lunga e
articolata, anch’essa con super-crescendo e strutture al limite del Prog-Metal
ma tuttavia fluidissime e lineari,la notturna “Time Will Tell”,song con un
Cooper maestoso e capace di coprire varie ottave con le sue tonalità baritonali
tanto basse quanto alte grazie ad un falsetto sostenutissimo e pieno alla
Halford(da ricordare il provino quasi andato in porto di Cooper per i Judas
Priest pre-Jugulator),se non che fosse ancora più sopraffino e tecnicamente
superiore. La song ricorda i Queensryche misteriosi e alla “Blade
Runner”di”Rage for Order”e anche alcune atmosfere alla Mindcrime sono parte di
essa(in effetti il concept ha la stessa qualità drammatica, cinematica e mistica,pur non avendo alcuna implicazione
politica e sociale che l’Opera Magna dei ‘ryche ha).Brano capolavoro dell’album
con”River of Pain”.E’ la volta di”Silent Scream”,altra song bellissima con
melodie neo-classiche vincenti e quasi AOR e tempi serrati alla Malmsteen e si
chiude con la lenta e trionfale “It’s Over”, dove il nostro Messia muore
nuovamente ucciso dalla cupidigia e ignoranza umana e ritorna dal suo Padre
Celeste,chiudendo un album non eccessivamente lungo(come quasi ogni album di
Andersen,amante della sinteticità invece della prolissità di molte bands prog e
sinfoniche come i Theater o i Nightwish)ma perfetto in ogni sua parte e capace
di segnare a fuoco un’epoca e influenzare miriadi di nuove bands
dall’attitudine sinfonica,neo-classica e progressiva(pensiamo ai nostrani
Stamina, band quasi clone con in più peculiari influenze fusion,tra l’altro
nello stesso management dei Royal Hunt).Il Paradosso del titolo indica anche
come forse il Vero Dio è dentro di noi non altrove.
Antonio
Giorgio
Altri Ascolti: “Moving
Target”/”Fear”/”The Mission”/”Paper Blood”/ ”Paradox II:Collision
Course”/”X”/”Show me How to Live”/
”A Life to Die For”/”Devil’s Dozen”
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