lunedì 28 settembre 2015

Candlemass “Nightfall” (1985-Active Records)
L’epico debutto dei Candlemass“Epicus Doomicus Metallicus”diede inizio a un nuovo sottogenere di Heavy-Metal noto come Epic Doom Metal(le cui tracce in germe e a tratti erano già presenti negli storici Epic Metallers Manilla Road e Cirith Ungol,    se non addirittura in qualche passaggio dei Manowar)che di sicuro traeva origine dai Sabbath formato Dio di”Heaven & Hell”&”Mob Rules”,ma con meno propensioni melodiche e più vicini a armonie gotiche & darkeggianti.“Nightfall”rappresenta a tutt’oggi la magnum opus definitiva della creatura del geniale leader & bass-player,novello Steve Harris del Doom,Leif Edling.Un concentrato di epicità,misticismo,mitologia e magia,il tutto da una prospettiva dell’esistenza non propriamente esaltante,ma anzi tendente all’autocommiserazione,se pur venata da una qualche speranza di una superiore vita ultraterrena,grazie anche alla non nascosta fede cristiana del nuovo vocalist Messiah Marcolin,proveniente dai Mercy e dotato di una voce potente,espressiva e operistica,con tratti teatrali alla Gillan o addirittura alla King Diamond,ma senza l’uso del falsetto che copre di ridicolo il danese e soprattutto senza riferimenti alcuni a satanismo & occultismo.
La proposta della band è nobile come quella dei più mistici e ossianici Black Sabbath, seria potremmo dire e pur avendo atmosfere Fantasy/Horror in molte songs,non cade mai in un infantile elogio a Satana e alle forze oscure.Marcolin dimostra con quest’album che la band ha trovato il suo singer definitivo,una personalità piena di carisma con un timbro che a tratti può ricordare stranamente Ozzy Osbourne,ma come detto con una potenza e un lirismo di ben altra natura,degna di un Ronnie James Dio al top,pur avendo un’estensione più baritonale perfetta per il Doom e per le tetre atmosfere create da Eidling e soci.L’opener è la breve intro”Gothic Stone”,che avrebbe dovuto essere il titolo dell’album poi modificato per adattarlo al magnifico dipinto de”Il Viaggio della Vita”di Thomas Cole(“Old Age”),tetralogia di dipinti di cui verrà usato anche”Youth”per”Ancient Dreams”(il più debole della tetralogia targata Marcolin,con il magico concept”Tales of Creation”che per poco non supera”Nightfall”),seguita da una delle migliori songs scritte da Edling,la fantasy-gotica”The Well of Souls”(esiste anche una band doom americana con lo stesso nome),visionaria e orrorifica con un riff perfetto e un chorus memorabile e ispirata in parte a”I Predatori dell’Arca Perduta”a riguardo del pozzo delle anime.Belle le brevi strumentali dell’album che danno una senso cinematografico all’opera che non è un concept,ma un libro contenente storie fantastiche capaci di trasportare l’ignaro ascoltatore in un mondo più bello e più vasto per quanto a tratti cupo,ma mai in fondo privo di luce(a differenza dei futuri albums di un Edling meno immaginifico e più realista e talvolta nichilista);così sia”Codex Gigas”,il remake metallico della”Marcia Funebre”di Chopin(“Marche Funebre”,che rafforza il legame stretto tra Metal & Classica)e la conclusiva”Black Candles” (l’unico contributo all’album del virtuoso Mike Wead,che in origine era il chitarrista solista della band prima di Lars Johansson,altra rivelazione dell’album,capace di portare un solismo virtuosistico e malmsteeniano al genere,sempre tacciato di essere poco tecnico)danno il giusto contributo strumentale e atmosferico all’album.“At Gallows End”è un’altra di quelle songs memorabili e tra le più melodiche del mai troppo melodico Leif Edling,una specie di”Hallowed be thy Name”in versione Doom, poiché narra delle ultime ore di un condannato a morte,per la precisione dovrà essere impiccato.Il tema della Morte non è solo uno dei massimi “topics”di tutto l’Heavy-Metal,ma la ragion d’essere del Doom stesso,originatosi proprio con la”Death Song”per eccellenza,ossia “Black Sabbath” dell’omonima band dall’omonimo e irripetibile debutto; così tutto l’album se ha un leit-motiv è nella Visione della Signora Oscura sotto varie forme e da diverse prospettive,non sempre foriera di funesti presagi,anzi vera & propria,se non unica,ancora di Salvezza,Saggezza & Redenzione.Difatti”Samarithan”rappresenta per molti la definitiva Candlemass-song(basta pensare all’amore nei suoi riguardi dei figli più diretti della band di Edling,ossia i doomsters americani Solitude Aeternus,il cui singer Robert Lowe diverrà futuro interprete delle creazioni edlinghiane),grazie ad un testo di derivazione biblica e cristiana, capace di visualizzare perfettamente il senso misticheggiante e soprannaturale della cover con una storia ricca di pathos e melodie mai così belle e evocative,a tratti classicheggianti.
“Dark are the Veils of Death”è un chiaro omaggio alla doomy “The Veils of Negative Existence”dei padri dell’Epic-Metal Manilla Road,tuttavia se ne discosta grazie a un perfetto bilanciamento tra power riffs e altri doom,creando a tutti gli effetti una nuova definizione,Power-Doom appunto:vi sembrerà di varcare la soglia di un mondo”ai confini della realtà”dove tutto è sia oscuro che colorato,al di là del Paradiso e dell’Inferno in una Zona del Crepuscolo dove Fantasia & Realtà sono unite.In effetti una song che anticiperà quel “trip immaginifico e ultraterreno”che sarà il magnifico”Tales of Creation”,con il suo concept di Angeli Caduti in cerca di Redenzione e del significato ultimo dell’ Esistenza.Chiudono”Mourner’s Lament”(vero e proprio epitaffio di un padre verso un figlio scomparso prematuramente,ma che vive in lui nel profondo della sua anima) e “Bewitched”,song ispirata al famoso”Pifferaio di Hamlin”,qui reso in versione appunto Doom’n’Gloom,con un’altra gran melodia e un superbo Marcolin,elemento cardine del successo artistico oltre che di pubblico dell’album. 
Da ricordare anche la straordinaria produzione dell’album,che è capace di donargli un suono epico,spaziale e arcano,poi ribadito e forse anche superato nel visionario”Tales of Creation”,ma a conti fatti quest’album è la Bibbia definitiva dell’Epic Doom.
                                                                             Antonio Giorgio
Altri Ascolti:”Epicus Doomicus Metallicus”/”Tales of Creation”/”Dactilys Glomerata”/”Candlemass”/”Death Magick Doom”/Psalm of the Dead”



Fifth Angel “Time Will Tell” (1989-Epic Records)
Se c’è un album che può essere assunto a pietra miliare del Melodic Metal o Class-Metal a tinte epiche(“Under a Lock & Key”dei mitici Dokken è puro e semplice Class-Metal),questo è di sicuro”Time Will Tell”dei gloriosi e sfortunati pure metallers Fifth Angel.Un album magnifico e d’indescrivibile bellezza marmorea e emozionale, che trasmette tutta l’immensa passione del five-pieces americano catapultandoci a rotto di collo nell’immaginifica America degli anni ottanta fatta di lotte urbane,misteri Horror/Gotici e sogni romantici.La classe di Ed Archer e company è straordinaria e mai annacquata e grazie alla produzione sfavillante di Mr.Terry Brown(Rush,Fates Warning,Ufo tra gli altri,serve altro?)ci dona un manifesto unico del Metal Magico degli Eightes che ben si sposava anche con la melodia muscolare dell’Hard-Rock da classifica,talvolta qui anche alla Europe & House of Lords,ma senza la parte melensa e commerciale che queste bands talvolta avevano a discapito della parte più genuina e sanguigna. L’atmosfera simil-gotica e epica parte di quarta con la bellissima e emozionante “Cathedral”,racconto fantasioso e mistico che ci fa entrare nel Tempio del Sacro Metallo che come una cattedrale gotica ha mille colori e emozioni da regalarci e come Moderni Templari siamo disposti a sacrificare tutto per la causa nobile del nostro amatissimo genere “sacro”.Ted Pilot si rivela gran cerimoniere delle predica metallica inscenata dai nostri con chitarre mai dome e mai superflue dei signori Archer e del nuovo arrivato Bechtel(ottimo sostituto del futuro guitar-hero neo-classico James Byrd)e il suo stile unico mutuato da un certo Ronnie James Dio lo pone tra i migliori discepoli dell’elfo italo-americano.”Midnight Love”è pura passione erotica incendiaria con i suoi cori celestiali ma allo stesso tempo carnali e i suoi riffs al testosterone che farebbero collassare ogni bella donna sensibile al vero uomo”nobile”.”Seven Hours”è epica e urbana,degna di un film di Walter Hill tra polvere e luci sfavillanti della grande mela,mentre ”Broken Dreams”è una malinconica ballad carica di quel pathos magico che i nostri e Pilot su tutti possiedono a pieni polmoni. Arriva la stupenda title-track(bellissimo il videoclip dell’epoca che trasmette di per sé l’energia e la potenza epica emanata dalla band)che è un vero e proprio inno a seguire la propria intuizione,alla decisione nel perseguire i propri obiettivi e che solo il tempo potrà decretare se raggiunti o meno.C’è tempo per una cover,la sempre attuale”Lights Out”dei mitici hard-rockers inglesi(eccezion fatta per il guitar-hero tedesco Michael Schenker)UFO prodotti a suo tempo dallo stesso Brown e verosimilmente brano scelto dallo stesso produttore,perfetto nell’inserirsi nel clima urbano dell’album e perfetta per le tonalità calde e baritonali di Pilot identiche a Mogg.Secondo tempo parte con “Wait for me”che sa di Europe e John Norum e ci svela il lato più “easy”dei nostri nient’affatto privo d’interesse e già presente anche nell’ottimo debutto(che pur nella grandezza delle songs non godeva di una grande produzione da parte di Terry Date),seguita da “Angel of Mercy”, altrettanto melodica e romantica con un titolo perfettamente adatto all’essenza”biblica/angelica”dei nostri.”We Rule”è puro Metal incandescente e melodico/epico,tanto che potrebbe apparire su un album dei newyorkesi Virgin Steele e non sfigurare,mentre”So Long” &”Feel the Heat”sono due altre songs di Romantic Metal piene di malinconia vincente e erotismo visionario,il tutto baciato dall’energia che scorre inarrestabile lungo tutto l’album e consegna alla storia metallica questo magnifico lavoro di Puro Oro a 24 carati! Si spera in un ritorno dei nostri da molto tempo,ma se ritorno ci sarà ci vorrà molto impegno per replicare tanta manna piovuta dal cielo che fu partorita con successo in quell’indimenticabile decennio e non a caso nella parte finale a chiudere idealmente un’epoca dorata per il Metal più epico,melodico e nobile.
                                                                Antonio Giorgio

Altri ascolti:”Fifth Angel”




sabato 26 settembre 2015


     Don Dokken “Up from the Ashes” (1990 Geffen )
Dopo lo scioglimento dei Dokken,la band che più di tutte ha definito quel sound dal nostro Beppe Riva così ben denominato come“Class-Metal”,ma che potremmo anche chiamare semplicemente Melodic Metal di fattura superiore & sopraffina,Don Dokken diede vita alla sua creatura solista tornando per certi versi al concept originario dei Dokken che in realtà erano inizialmente un suo progetto solista.                                   
E lo fece alla grande mettendo su un supergruppo multi-etnico
(nell’epoca in cui non esisteva Internet e in cui se volevi suonare con qualcuno dall’altra parte dell’Oceano dovevi solo prendere l’aereo e volare da lui)con John Norum(Europe e solista)& Billy White alle chitarre, Mikkey Dee(King Diamond e futuro Motorhead)alla batteria e Peter Baltes(Accept) al basso,coadiuvato da vari songwriters nel lavoro di composizione(come il produttore Wyn Davis e il suo ex-batterista Mick Brown o il suo amico Glenn HughesIl risultato non poteva che essere vincente dal punto di vista della qualità artistica,ma purtroppo,a parte in Giappone e negli States,l’album non ebbe il successo sperato e una futura reunion tardiva dei Dokken era alla porte(con il bello ma controverso "Dysfuctional").Sarà stato anche l’anno poco propizio per il Metal raffinato ben prodotto e ben suonato,poiché il Grunge era la”new thing”con i suoi tre accordi stonati e il suo suono approssimativo(che qualcuno chiama”attitudine”,ma in realtà è mediocrità pura e semplice), fatto sta che chi come il sottoscritto e le menti e i cuori “liberi e illuminati”se ne frega dei trends e delle leggi di mercato,ha potuto godere appieno di quest’album sprizzante energia,romanticismo e melodia in egual misura con un tocco epico e notturno in alcuni frangenti degno dei Dokken migliori.Si parte con “Crash’n’Burn”,song epica e fieramente metallica con testi impegnati e sociali ma anche autobiografici,un inno alla rinascita di Don Dokken dato per perso senza la sua band madre.”1000 Miles Away”ha un’intro pianistica e effettata nelle vocals molto onirica e romantica e attacca con un gran riff creato da Norum,molto stile “Wings of Tomorrow”,l’album più epico della sua band “europea”:un gran coro epicissimo nel ritornello la rende uno dei rari esempi di Epic/Class-Metal vicino ai grandissimi Fifth Angel.La seguente”When Some Night”è anch’essa vicina agli Europe ma inequivocabilmente Dokken nel risultato finale grazie a riffs e melodie tanto semplici quanto perfettamente incastonate tra di loro.Sembra che nel lato”A”le songs facciano a gara a superarsi l’un l’altra e la successiva ”Forever”è un altro masterpiece,bilanciata alla grande tra parti soft/arpeggiate e altri hard/riffose e melodicamente potenti e evocative, con i soliti testi romantici e sognanti del buon Don.Anche la successiva”Living a Lie”,è un altro piccolo capolavoro di melodia e potenza e risulta determinante l’apporto sanguigno e sentimentale di un Norum perfettamente a suo agio con il sound Dokkeniano(tanto che poi sarà assunto anche per un album non troppo riuscito dei Dokken, l’altalenante”Long Way Home")e con l’ugola acuta ma anche calda del singer americano.Chiude il primo tempo quella che è la ballad perfetta che tutti vorrebbero scrivere,ma che in pochi riescono a creare non cadendo nel trito e ritrito,ossia “When Love Finds a Fool”,scritta a quattro mani con il soul-man Glenn Hughes”The Voice of Rock”,un brano d’antologia che può dare speranza o almeno fungere da balsamo ai tanti “cuori infranti e solitari”che popolano l’audience metallica e non,brano degno della mitica “Alone Again”e con un assolo che dire pieno di feeling del signor Norum è dire poco.
Il lato”B”risulta meno riuscito a dire il vero,con un paio di song interlocutorie e non memorabile come le Pop-Metal”Give it Up”&”Mirror Mirror”(singolo/videoclip che da poco giustizia ad un album altrimenti favoloso),brani che sembrano più b-sides che altro.Al di là di questi episodi più deboli,però ve ne sono altri notevolissimi come la ritmata “Stay”co-scritta con il suo ex-band mate Mick Brown,che ha melodie vincenti e malinconiche al punto giusto e la metallica”Down in Flames”e soprattutto la splendidamente heavy”The Hunger”,brano notturno e immaginifico,quasi Horror e memore della mitica”Dream Warriors"(dal terzo capitolo con lo stesso sottotitolo dell’altrettanto mitica saga di”Nightmare on Elm Street”)che ospita alla batteria il tellurico e ex-Fifth Angel & House of Lords Ken Mary,qui capace di una performance degna del miglior Cozy Powell.                                                                      
In definitiva un album splendido con qualche brano non allo stesso livello degli altri ma ad ogni modo ben inserito nel contesto per variare la proposta e un manifesto anti-grunge e tra i migliori capitoli scritti(includendo tutta la lunga discografia della sua band madre)dal grande cantante & compositore americano.
                                                                        Antonio Giorgio
Altri Ascolti:”Solitaire”





                                                                                                                                         
Royal Hunt “Paradox” (1997-Semaphore/99th Floor)

Andrè Andersen è un tastierista/compositore/produttore di origine russa emigrato in Danimarca per coronare i suoi sogni di gloria nel campo musicale e a quanto pare è riuscito in pieno nel suo intento pur pagando un calo in termini di popolarità rispetto all’epoca d’oro della band:la seconda metà degli anni novanta a cominciare dall’ottimo concept “Moving Target”,il giusto preludio alla magniloquenza di questo mistico e suggestivo “Paradox”,altro concept basato su un paradosso affascinante,
ossia che il protagonista, novello Gesù Cristo dei nostri giorni com’è predetto dalle scritture del Nuovo Testamento a proposito del secondo avvento del Messia sul Pianeta Terra,trovi paradossale che nonostante siano passati 2000 anni l’uomo è in sostanza ancora lo stesso e a nulla è servito il suo sforzo immane pagato con la crocifissione e la morte per cambiarlo e redimerlo.Certo non affrontano temi leggerini i danesi/americani/russi Royal Hunt, cosa poi confermata nel corso degli anni con vari altri concepts socio/introspettivi o anche fantascientifici (l’ottimo”The Mission”,il primo di una lunga serie per la nostrana Frontiers Records,basato sulle “Cronache Marziane”di Ray Bradbury),tra cui anche una seconda parte di”Paradox”(“Collision Course”)non allo stesso livello della prima se pur di buon livello con l’ex-Malmsteen Mark Boals,singer a tratti inespressivo ma che Andersen è riuscito a far esprimere ai suoi migliori livelli.Si parte con”Awakening”, breve intro acustica che presenta il Leit-Motiv dell’album che ritornerà nella ballata drammatica”Long Way Home”,che funge da apripista etnico al mistico concept(facile immaginare questo neo-Gesù giungere nel mondo moderno attraverso un deserto onirico di qualche altra dimensione,come uno spirito che sta per reincarnarsi in un uomo qualsiasi)e introduce la epica e drammaticamente colma di pathos struggente e verace”River of Pain”, aperta da un riff di chitarra e tastiera alla Deep Purple in versione neo-classica e pomposa e seguito da arpeggi stile Queensryche con vocals di DC Cooper per una volta tanto più calde e avvolgenti (singer straordinario dalla classe immensa,ma contraddistinto da una certa freddezza esecutiva di fondo.A tal proposito bisogna ricordare il passo in avanti fatto dalla band nell’era West,in particolare con il bellissimo”Fear”, album che è allo stesso livello di”Paradox”),brano che diventa sempre più drammatico e corale(bravissimi i coristi dei Royal Hunt,capaci di rendere unico il loro sound)con dei crescendo da brivido e dinamicissimi, sapientemente orchestrati da Mister Andersen e che saranno nel corso dell’album una delle armi vincenti e caratteristiche(mai più replicati con successo negli altri albums,a parte “Fear”)del sound Royal Hunt.
La successiva“Tearing Down the World”è un altro must,i tempi si velocizzano e il neo-classicismo mai pesante e noioso di Andersen e soci viene fuori in tutto il suo splendore in una song dalla bellezza marmorea.
Si continua con la hit più famosa e riuscita della band,brano simbolo della stessa e del loro stile baciata da un magnifico video-clip in stile”Best I Can”dei Queensryche:sto parlando dell’invocazione d’aiuto del neo-Gesù al suo Padre Celeste,ossia”Message to God”,che nella long version è ancora più bella e completa rispetto alla radio/video-edit con stacchi progressivi,intro pianistica da brividi e crescendo finale impressionante con uno scatenato Jacob Kjaer, di sicuro il miglior guitar player che Andersen abbia avuto al suo fianco,grazie ad un feeling unico degno di un John Sykes con tanto di tecnica sopraffina.E’ la volta della citata ballatona”Long Way Home”,molto distante dalle classiche love-ballads stile eightes,anzi degna di un”Another Day”dei mostruosi Dream Theater.
Il tempo di rifiatare ed ecco esplodere la song più lunga e articolata, anch’essa con super-crescendo e strutture al limite del Prog-Metal ma tuttavia fluidissime e lineari,la notturna “Time Will Tell”,song con un Cooper maestoso e capace di coprire varie ottave con le sue tonalità baritonali tanto basse quanto alte grazie ad un falsetto sostenutissimo e pieno alla Halford(da ricordare il provino quasi andato in porto di Cooper per i Judas Priest pre-Jugulator),se non che fosse ancora più sopraffino e tecnicamente superiore. La song ricorda i Queensryche misteriosi e alla “Blade Runner”di”Rage for Order”e anche alcune atmosfere alla Mindcrime sono parte di essa(in effetti il concept ha la stessa qualità drammatica, cinematica  e mistica,pur non avendo alcuna implicazione politica e sociale che l’Opera Magna dei ‘ryche ha).Brano capolavoro dell’album con”River of Pain”.E’ la volta di”Silent Scream”,altra song bellissima con melodie neo-classiche vincenti e quasi AOR e tempi serrati alla Malmsteen e si chiude con la lenta e trionfale “It’s Over”, dove il nostro Messia muore nuovamente ucciso dalla cupidigia e ignoranza umana e ritorna dal suo Padre Celeste,chiudendo un album non eccessivamente lungo(come quasi ogni album di Andersen,amante della sinteticità invece della prolissità di molte bands prog e sinfoniche come i Theater o i Nightwish)ma perfetto in ogni sua parte e capace di segnare a fuoco un’epoca e influenzare miriadi di nuove bands dall’attitudine sinfonica,neo-classica e progressiva(pensiamo ai nostrani Stamina, band quasi clone con in più peculiari influenze fusion,tra l’altro nello stesso management dei Royal Hunt).Il Paradosso del titolo indica anche come forse il Vero Dio è dentro di noi non altrove.
                                                                               Antonio Giorgio

Altri Ascolti: “Moving Target”/”Fear”/”The Mission”/”Paper Blood”/ ”Paradox II:Collision Course”/”X”/”Show me How to Live”/
”A Life to Die For”/”Devil’s Dozen”       



                          

domenica 20 settembre 2015

    Iron Maiden “Powerslave” (1984-Emi Music)
Difficile scegliere un album tra i tanti capolavori rilasciati da Harris e soci,considerando che anche la produzione recente con albums come i magnifici”Brave New World”&”Dance of Death”è di rilievo,ma alla fine scelgo”Powerslave”,che pur non essendo necessariamente il migliore,di sicuro ha da sé un potenziale enorme in quanto a epicità e drammaticità e anche una certa versatilità di contenuti e atmosfere.
Inoltre il riferimento all’antico Egitto rende la stessa mascotte Eddie più “misticheggiante”e meno orrorifica/machiettosa con un gran lavoro di Derek Riggs sui gialli/oro e sui blu(i colori ufficiali del Golden Metal! Saggezza & Visione!!)e nei dettagli in generale,ancor più moltiplicati nel successivo e fantascientifico(ma controverso)”Somewhere in Time”.       
L’iniziale”Aces High”è la classica song d’apertura col botto,con le sue tematiche militaristiche e anche patriottiche(ma direi universali visto il tema trattato della seconda Guerra Mondiale,nel video introdotta dal commovente  e memorabile discorso di Churchill alla Nazione e alle Truppe Alleate),con dei crescendo da brivido nel chorus e ritmiche serrate e veloci,con un Dickinson straordinariamente liricheggiante e teatrale con note alla Gillan. “2 Minutes to Midnight”cambia totalmente registro e si sposta su ritmiche più Heavy-Rock con un testo tra spy-story e Horror potremmo dire da guerra fredda (anche qui a corredare la song vi è un altro bellissimo video molto british style alla Dennis Wheatley come ambientazione)e anch’essa ha un ritornello favoloso e perfetto.La breve strumentale ”Losfer Words(Big ‘Orra)”è un ottimo interludio più progressivo alla battagliera”Flash of the Blade”,usata in maniera non perfettamente appropriata ma efficace nel cult Horror di Argento”Phenomena”nelle scene del serial-killer,mentre la song ha un testo fantasy epico specchio della passione di Dickinson per la scherma e con riferimenti al medioevo e a San Giorgio & il Drago(a sua volta memore dell’Arcangelo Michele e del Diavolo/Bestia).
L’atmosfera epica dell’album permette a Dickinson di far “volare”la sua ugola d’oro e di essere anche più pulito del solito e in”The Duellists”crea un bellissimo ritornello pieno di pathos e epos,mentre i testi sono riferiti al bellissimo film,opera prima,di Riddley Scott,visionario regista di cult come “Blade Runner” e ”Gladiator” (vincitore di vari premi oscar).                    
“Back in the Village”è la parte due di”The Prisoner”e pur non raggiungendo lo stesso livello,è un altro episodio piacevole che prepara ai due punti focali dell’album:la title-track”Powerslave”che presenta inedite influenze egiziane nelle melodie del riff scritto da Dickinson e fantastiche armonizzazioni vocali rare da parte del grande singer,mentre i testi sono una metafora di come il potere schiavizzi più che rendere liberi e l’altro punto focale e capolavoro dell’album e dell’’intera discografia maideniana è il poema epico”The Rime of the Ancient Mariner”, ispirata all’omonimo componimento poetico del romantico visionario Samuel Coleridge.       Questa song ha tutte le caratteristiche dei Maiden riunite in un’unica lunga suite,ossia epicità,misticismo,atmosfere Horror,lirismo e drammaticità apocalittica:niente male no? Le melodie di ogni passaggio rimangono impresse indelebilmente e anche Coleridge è citato testualmente in alcuni versi,specie nell’incantata e stregata parte centrale,piena di atmosfera e terrore “oceanico”degno di un William Hope Hodgson e di bands psichedeliche come i connazionali High Tide,ma la morale finale della song è il semplice rispetto che si deve ad ogni creatura vivente e non,poiché tutto è connesso,non diventando quindi “schiavi del Potere”che ci illudiamo di avere esclusivamente.
                                                  Antonio Giorgio

Altri Ascolti:”Iron Maiden”/”The Number of the Beast”/”Piece of Mind”/”Seventh Son of a Seventh Son”/”Brave New World”/Dance of Death”/” The Book of Souls”                       




Manilla Road “Crystal Logic(1983-Black Dragon)
Mark Shelton può essere considerato a tutti gli effetti se non “il”almeno “uno”dei padri putativi dell’Epic Metal,quel particolare stile di Metal capace di narrare epiche gesta di antiche e leggendarie età remote e ancestrali che si perdono negli abissi del tempo e nelle zone del crepuscolo dell’immaginazione umana,sempre desiderosa di riscoprire le proprie origini più mistiche e improbabili.Come diceva il padre della Sword & Sorcery e dell’ Heroic Fantasy,R.E.Howard,alla fine sarà comunque la barbarie a trionfare poiché la civiltà è soltanto un capriccio dell’umanità. In tale ottica il sound eternamente “old school”della band di Wycthyta sarà sempre paradossalmente attuale,proponibile e efficace,a dispetto dei progressi operati dalla tecnologia e dalle bands di “modern metal”,poiché racchiude in quei solchi che sanno di antico e di atemporale,un’epicità sanguigna che è l’essenza stessa dell’Heavy-Metal,ossia di un genere capace di trionfare proprio quando tutta la tecnologia sarà inutile,quando la fine dei tempi sarà una dura realtà e solo i più forti sopravviveranno.Come la “Volontà di Potenza”nietzcheana così magnificamente espressa in quel capolavoro cinematografico che è “Conan il Barbaro”del geniale John Milius,il metaller è l’incarnazione perfetta del guerriero spirituale che non ha paura della caduta della civiltà forte della sua anima d’acciaio e passionale capace di vincere le più totali avversità,quindi l’Epic Metal non è altro che lo spirito più profondo e battagliero di questa sacra musica e per certi versi anche il suo lato più mistico e filosofico.”Crystal Logic”segna la definitiva messa a fuoco dell’Epic insieme ai debutti in simultanea dei futuri Re dell’Epic newyorkese più mainstream,ossia Manowar & Virgin Steele.Le liriche di Shelton sono l’opera di un vero guerriero bardo moderno capace di unire in maniera unica e irripetibile diverse fonti mitologiche,mistiche & magiche nonché storiche all’occorenza,facendo convivere il pantheon nordico con il ciclo arturiano e le inquietanti visioni cosmiche e orrorifiche di H.P.Lovecraft con i terrori mistici di E.A.Poe,senza dimenticare il senso dell’avventura e della potenza espressiva di R.E.Howard.Il tutto accompagnato da un flavour positivo e costruttivo,il senso stesso dell’Epic che si sintetizza in quel grido di battaglia che è il”mai arrendersi!”.I riffs energici e a tratti anche spettrali(al limite del Doom,genere talvolta confinante con l’Epic più ossianico e sognante),i lunghi solos psichedelici quasi hendrixiani e le melodie evocative sono la ciliegina sulla torta che rendono questo album un capolavoro immortale e magico capace di reggere alla grande il trascorrere del tempo e ammaliare intere nuove generazioni di adepti.Da avere anche la magnifica riedizione della Golden Core Records,un doppio album pieno di chicche,duetti in sede live(come con la carismatica Marta Gabriel dei metallers polacchi Cristal Vyper),una fantastica interpretazione in chiave moderna di “Dreams of Eschaton”da parte dei misconosciuti Viron e altre sorprese.Anno Domini dell’Epic Metal!
                                                                                     Antonio Giorgio


Altri ascolti:”Open the Gates”/”The Deluge”/”The Courts of Chaos”/”Out of Abyss”/”Atlantis Rise”/”Gates of Fire”/"Mysterium"

giovedì 10 settembre 2015

John West “Earth Maker” (2002-Frontiers Records)
John West è un signor cantante statunitense che prima di balzare agli onori della cronaca con Artension & Royal Hunt,dove ha dato ampia prova di tutto il suo talento naturale e genuino,ha fatto la classica gavetta attraverso brevi ma significative esperienze con bands(più Hard-Rock che Heavy-Metal )del calibro di Badlands,Lynch Mob e la band solista del grande Cozy Powell,suo grande amico al quale ha anche dedicato un suo album solista( l’ottimo ”Permanent Mark”). 
Eppure una delle sue prove migliori in assoluto(sia come cantante che soprattutto come songwriter e storyteller),davvero ispirata e che trabocca genuinità da ogni solco,è quest’album solista targato 2002(in pieno periodo Royal Hunt,ma anche autore di ottime prove da studio con i suoi amati Artension),un concept-album davvero ben fatto e ben narrato,con canzoni una più bella dell’altra:d’applausi a scena aperta! La storia narra di un protagonista indiano(significativa la cover dell’album con un fotomontaggio del volto”indianizzato”di West che collima con quello di un vecchio nativo americano in maniera piuttosto impressionante e in linea con il suo evocativo cognome decisamente”western”,anche se dalla parte dei pellirossa a quanto pare) Shenandoah,che attraverso varie incarnazioni vive differenti esperienze guardando il mondo e la vita da differenti prospettive(un albero,una bestia,un bambino, un’anima disincarnata etc),arrivando infine,al termine del  suo Viaggio/Ricerca Spirituale,a conoscere e fronteggiare l’Earth-Maker del titolo dell’album,che nella lingua dei nativi americani sta per”Creatore”.   L’opener “Soul of the Beast”espleta alla grande il senso dell’album,ossia l’idea che tutte le cose siano connesse,uomini,bestie,piante,cose,esseri animati e inanimati,il tutto attraverso un possente Heavy Metal bluesy e dark quanto basta,ma soprattutto baciato dalla grande classe melodica di West,in grado di far convivere magnificamente gli opposti,qui rappresentati dal protagonista e dalla bestia che affrontandola in realtà finisce per entrare e convivere nella sua anima,un po’ come la straconosciuta e strausata frase di Nietzche:”Se guardi dentro l’Abisso,l’Abisso guarderà dentro di te”.Grande protagonista è l’axe-man dei Savatage & Transiberian Orchestra Chris Caffery,che firma tre brani incluso questo dei dieci dell’album.  Infatti la forza dell’opera è anche nella presenza di grandi musicisti(tra cui Metal Mike Chlasciak,Bobby Jarzombek,Kevin Chown,il collaboratore fisso degli albums solisti di West Lennie Park e ospiti speciali nel brano”When the Worlds Collide”i masterminds tastieristi di Royal Hunt e Artension,Andersen & Kuprij)che rendono la proposta varia ma compatta(grazie alla produzione di Park & West stesso).               
La seguente”When the Worlds Collide”è un’epica cavalcata nelle praterie del Texas e dell’Arizona dove i due spiriti opposti dell’indiano e della bestia si fondono definitivamente e il feeling potente e melodico del brano è irresistibile,come un tuono nel buio.           
I brani a seguire narrano perfettamente la storia di varie incarnazioni con morti e rinascite di Shenandoah,da spitoto che assiste alla sua morte(“Sleep of the Dead”)a  albero guardiano(“Stand,Sentinel”)a neonato(“Life”)fino a diventare nuovamente un potente guerriero che muore per la propria gente(“Warrior Spirit”),dove lo spirito epico dell’opera si sublima definitivamente.                                                                        
L’indiano incontra la sua Anima Gemella nell’aldilà in un brano visionario e commovente scritto con Caffery,”Mystic Wings”power ballad all’americana ma davvero toccante,ma presto la perde in”Love is Pain”super-riffosa e cupa grazie a Metal Mike,dove si reincarna soltanto lui senza la sua amata sperando di bruciare vivo all’Inferno. Ma proprio nel momento di massima disperazione,ecco la Rendenzione nell’incontro con lo spirito creatore dell’Earth-Maker,che gli rivela il senso della vita che si realizza negli opposti sempre in dialogo tra loro.Brano Heavy-Epic-Rock degno dei migliori Sabbath con Dio/Martin!Il viaggio si conclude con la struggente e luminosa ballad”Soul to Soul”dove è spiegato il senso dell’album,della sua mistica e addirittura dell’Arte(con la frase “è l’Arte che imita la Vita o viceversa?”).   Pieno centro e definitivo Cult-Album del grande indianone dall’ugola d’oro John West.Consigliatissimo!
                                          Antonio Giorgio

Altri ascolti:”Mind Journey”;”Permanent Mark”



mercoledì 9 settembre 2015

TEN “Babylon” (2000 Now & Then/Frontiers Records)
Gary Hughes è un singer/songwriter di grande talento all’interno della scena AOR/Melodic Hard-Rock e lo dimostrano sia i molti degli albums pubblicati come Ten(in particolare,oltre a”Babylon”,gli epici”The Name of the Rose”,”The Robe”& ”Spellbound”)che come Gary Hughes(in particolare il soft”Precious Ones”e la Rock Opera”Once & Future King”parte I  & parte II, incentrata su Re Artù & i Cavalieri della Tavola Rotonda).Diplomatosi al prestigioso Royal Northen College of Music di Manchester,il nostro ha iniziato da solista sul finire degli eightes riscuotendo un discreto successo e vantandosi il titolo di nuovo Paul Rodgers dell’Hard inglese.Poi con il debutto omonimo dei Ten ha dato il via ad una lunga saga di albums epici,melodici & pomposi alla Magnum con venature a tratti più Hard e fortemente AOR non lontane dai migliori Bad English,componendo albums anche per lo stesso Bob Catley(il migliore è stato senz’altro”The Tower”)e per il talentuosissimo singer americano Hugo Valenti(bellissimo l’omonimo album in cui suonano tutti i Ten dell’epoca). Nel primo anno del nuovo millennio per il quarto album della band,il nostro decide di fare le cose in grande,componendo un ambizioso concept album(cosa assai rara nella scena AOR & Hard/Heavy-Rock)ispirato vagamente a “Blade Runner”nelle atmosfere notturne & dark, chiamando tra l’altro alla sua corte il valente session-man e oggi in forza ai grandi Deep Purple,Don Airey.Con una formazione a sei e con il supporto di una volenterosa e ormai lanciata Frontiers Records(insieme all’etichetta inglese Now & Ten di Mark Ashton,autore anni prima di un notevole e unico disco solista di  gran valore)per la quale i nostri incisero il disco numero 1,ossia il memorabile doppio live”Never Say Goodbye”,”Babylon”(che vede al banco del mix tra gli altri Chris Boldenthal dei metallers teutonici Grave Digger)appare subito come un album perfetto,capace di accontentare sia gli amanti del Metal più melodico e arioso,sia i fans di vecchia data dell’AOR & del Melodic Hard-Rock vogliosi di nuove idee per rinvigorire un genere che ha attraversato i nineties non senza sofferenza a causa del nemico mortale chiamato Grunge.   L’opener e lunga “The Stranger”(cliché della band sfruttato a lungo e  con successo,ossia aprire l’album con una brano epico e più articolato)è il miglior biglietto da visita per introdurci al mondo post-apocalittico che ai fans italiani può far venire in mente un fumetto cult come Nathan Never(anche per via della splendida cover in pieno science-fiction style del grande Luis Royo, artista più volte usato dalla band per le covers),accompagnato da voci narranti fuori campo che saranno presenti in vari brani e che ci danno informazioni insieme a ciò che è scritto e narrato nel booklet sullo svolgersi di una storia che basicamente è una storia d’amore impossibile tra due giovani implicati in faccende “pericolose”(il ragazzo è un giovane programmatore di computer in una megalopoli,la Babylon del titolo,che è stata costruita sotto una cupola che la protegge dalle radiazioni presenti sul pianeta Terra,qualcosa che ricorda un po’ lo scenario del bistrattato ma a tratti affascinante”Highlander II”)che hanno a che fare con corporazioni che si occupano di cibernetica,di realtà virtuali e affini(finirà col programmare la memoria della sua amata che morirà nel finale).I cori sono celestiali e affascinanti e la cura delle melodie e dei riff è sempre di prim’ordine.”Barricade”è un classic heavy-rock da stadio alla Sabbath era Martin e Whitesnake versione”1987”(album e band molto amata da Hughes & soci)pieno di grinta e energia.Seguono la solare”Give in this Life”piena di melodie spensierate ma nient’affatto banali,la sensuale, atmosferica e fascinosa”Love Became the Law”,graziata da un’interpretazione superlativa di un Hughes al meglio delle sue possibilità  espressive e la anthemica “The Heat”,prova della classe superiore di Hughes & soci e a  completare una quadrilogia AOR da infarto c’è la super ballatona “Silent Rain”,pregna di un romanticismo per niente edulcorato,ma anzi sentito,verace e vivo.Segue una triade di songs a tinte più hard con la neo-classica ”Timeless”,ancora un’ulteriore dimostrazione della capacità di Hughes di comporre melodie e armonie dello stampo più nobile citando anche il nostro Dante e il suo famoso”Inferno”,la notturna e iper-melodica”Black Hearted Woman”con un ritornello davvero vincente e la possente”Thunder in Heaven”,forse la song più heavy scritta da Hughes con una intro quasi alla Metallica e un ritornello epico degno dei migliori Rainbow con il suo sapore quasi seventies donato dalle tastiere simil analogiche del grande Don Airey(un preludio alla sua entrata nei Deep Purple al posto del compianto John Lord).    Emblematica e molto fine la figura retorica e diremo alchemica dell’ ”Oro Tecnologico”,il fine ultimo della Scienza e del suo progresso che però può trasformarsi paradossalmente nel suo opposto.                            
Il drammatico finale è affidato alla power-ballad”Valentine”che presenta un crescendo da brivido e colmo di pathos genuino,un brano che chiude con un’ombra di malinconica visione futuristica,ma che in realtà ci mostra come Passato,Presente & Futuro siano solo un’illusione e che tutto converga in un Tempo Superiore,l’Eternità:anche l’hard’n’heavy ottantiano qui così ben rappresentato e quasi superato/sublimato nelle intenzioni di fondo più autoriali,diviene eterno,fuori dal tempo,come ogni vera manifestazione artistica deve essere.

                                                                   Antonio Giorgio

Altri Ascolti:"X"/"The Name of the Rose"/"The Robe"/Spellbound"/"Stormwarning"/"Albion"